Dopo dieci anni senza figli per noi è cominciata un'avventura che ci ha completamente trasformato. Decidemmo di presentare domanda di affidamento e di adozione di un bambino o di una bambina anche con handicap. Avevamo voglia di donarci, di impiegare le energie della nostra giovinezza, bisogno di travasare il nostro bene, i nostri valori, la nostra umanità.

Quando 25 anni fa incontrammo Alessandro per la prima volta fu un colpo di fulmine. Non vidi quello che appariva, ma il lumino che aveva dentro. In casa entrava la novità: un bambino bellissimo, originale, un po' bizzarro, che camminava a quattro zampe, affettuosissimo. Un bambino bellissimo, con serie difficoltà e patologie importanti. Era affetto da ritardo cognitivo e da una forma di epilessia che a tutt'oggi continua a resistere al trattamento farmacologico.

A sei anni Alessandro non conosceva i cibi, non piangeva, non correva, non parlava, si sporcava, ed era triste. Come se per lui il mondo fosse troppo grande, ma anche la sua casa era grande. Per lui sarebbe bastata una sola stanza. Aveva bisogno di tempo per vincere la paura e imparare a muoversi nello spazio della casa. Ma di uscire fuori neanche a parlarne.

Il rapporto privilegiato, unico, simbiotico, Alessandro lo aveva con me. Dopo diversi mesi si accorse che in casa c'era anche un'altra persona: il papà. Amava giochi solitari, seduto all'indiana, dopo aver accumulato oggetti tra i più disparati, che trovava casualmente, e con i quali avrebbe potuto trascorrere molto tempo silenziosamente se non stimolato diversamente.

Una alla volta, nel suo mondo ha fatto entrare le nonne, la zia e poi col tempo anche qualche altro zio, poi i cugini, e via via molti altri. Poi l'inserimento a scuola, una realtà nuova ed esigente. Un cambio d'aula all'inizio del nuovo anno scolastico bastava a destabilizzarlo, tanto che gli insegnanti dovevano correre ai ripari e ritornare nell'aula di sempre che lo faceva sentire al sicuro.

"Sono troppi mamma!" Riusciva a dirmi quando il numero di persone che aveva davanti era di portata superiore alla sua capacità.

Lo abbiamo sempre sostenuto, ma anche sforzato perché la sua cerchia di relazioni si ampliasse, perché ne avesse sempre meno timore.

E allora feste e cene a casa, anche se si avvicinava solo all'arrivo della seconda portata. Feste in modo tale che, quando avrebbe avuto l'occasione di incontrare quelle persone in un altro ambiente, la difficoltà gli sarebbe risultata inferiore.

Lo sforzavamo comunque di uscire. Lui puntava le sue ginocchia sul mio sedile per tutto il viaggio. Era il suo modo di ribellarsi, di dirci che uscire era fonte di disagio.

Sono stati anni nei quali ho rinunciato pressoché a tutto: ad esclusione del lavoro ho lasciato ogni attività, ogni interesse. Non avevo più un momento libero per me. Ho capito  che Alessandro era inconciliabile con qualsiasi altro nostro progetto, desiderio o attività.

È cominciato un cambiamento del nostro stile di vita, il tempo della rinuncia di quelli che erano sempre stati i nostri  spazi. Gli egoismi sono stati abbandonati per far posto ai bisogni di Alessandro.

Tutto passava quando annegavo negli occhi di Alessandro che da ombrosi diventavano sempre più vivi, da sfiduciato diventava sempre più fiducioso, da spaventato sempre più sicuro, da chiuso sempre più aperto, da isolato sempre più comunicativo, da chino sempre più fiero.

Per poter resistere alla condizione difficilissima dei primi anni della sua vita Alessandro si era costruito una corazza di difesa che lo aveva portato a chiudersi, a perdere la fiducia negli adulti. Era una corazza necessaria. Sembrava impenetrabile. Urgeva trovare la chiave per aprire il suo cuore.

Era come se qualcuno, dopo aver rotto un vaso di grande valore avesse lasciato a terra i cocci. Un vaso con le crepe, ferite aperte e sanguinanti causate da una grave deprivazione affettiva e da traumi.

Per noi era un bellissimo vaso di mille colori. Ci leggevamo la possibilità che in qualche modo, in qualche misura, quel vaso potesse ricomporsi. Certamente le cicatrici sarebbero rimaste, ma contavamo che con quella colla che avevamo in serbo, cioè l'amore potesse avvenire il miracolo.

Non c'era da annoiarci. Era tutto da conoscere, impostare e adeguare alle sue esigenze. C'era un mondo esterno che non capiva questa nostra scelta. Dovevamo affrontare le questioni legate alle sue difficoltà soprattutto con la scuola, amici e gente del borgo in cui vivevamo.

"Che ragazzino t'hanno dato?".

"Non vedi che è irrecuperabile?".

"Perché spendete tutta questa energia per questo bambino che non è vostro figlio?

Non è meglio che lo riportate dove l'avete preso?

Sta a scuola con i nostri figli. Non sappiamo da dove viene e se ha l'AIDS?

Quando abbiamo visto che intorno a noi s'era fatta terra bruciata ci siamo chiesti: Ma noi da che parte vogliamo stare? Non ci interessava che eravamo rimasti soli.  Né che gli amici ci avessero lasciato, che non credevano in noi, che qualcuno ci considerava come folli, che ci trattavano come fossimo contagiosi. Ci dispiaceva certo, ma ci siamo sforzati di rimanere concentrati su nostro figlio.

Vedevamo un'essenza, una bellezza profonda, una luce interna, percepivamo il mistero di quell'anima.

Talvolta avevo la sensazione di rincorrere un topolino che puntualmente andava a nascondersi in una piccola tana; potevo solo infilare la mia mano e accarezzargli la testa. Fiduciosa che prima o poi si sarebbe arreso alla mia carezza. Alessandro è uscito dalla tana, ma è sempre pronto a ritornarvi come se la tana facesse parte di lui.

Avevamo cominciato a lavorare a testa bassa, senza concederci soste, concentrandoci interamente su di lui, sui suoi enormi bisogni, sui suoi vuoti immensi. Era il tempo della speranza.  Abbiamo imparato a saper attendere che la sua finestra si aprisse.

La capacità di attenzione era passata da una manciata di secondi a qualche minuto, aveva cominciato a far trapelare le sue emozioni, aveva conosciuto i cibi. Eravamo usciti dall'emergenza e potevamo iniziare un piano di riabilitazione ragionato.

A Latina non ci veniva fornita una diagnosi soddisfacente. E avevo bisogno di capire perché il suo cuore restava ancora chiuso. Ci siamo rivolti ad uno studio privato di Roma e lì il quadro è diventato più chiaro. Tratti autistici probabilmente un asperger. La famiglia era coinvolta nella terapia. Perché la terapia fornisce le chiavi necessarie nella vita quotidiana.

Rispettare la sua voglia di non uscire, ma al tempo stesso non assecondarlo del tutto. Forzarlo sempre un po', aiutarlo nel salto del muro che lo cinge.

Con la scuola non ci sono mai state abbastanza ore di insegnamento di sostegno o di assistenza, mai abbastanza capacità professionale e umanità per contenere lui e il suo disagio. Nel passaggio dalla quinta elementare alla prima media qualcuno aveva fatto cambiare la sezione ai propri figli perché stava per arrivare quello che veniva chiamato "il mostro". Capitò anche che in seguito ad una situazione ambientale non più tollerabile decidemmo di optare per un trasferimento in una scuola di Latina. Alessandro stesso mi verbalizzò questa richiesta e noi tenemmo in conto le sue parole.

Il primo giorno alle 8 del mattino  nella nuova scuola trovammo un gruppo di genitori che protestava per il nuovo arrivo e perché una professoressa aveva chiesto di lasciare quella sezione. Il tam tam era giunto fino in città. Ci si gelò il sangue. Una vera allucinazione.

Quando ripenso a quegli anni mi torna alla mente quel "Beati voi quando vi perseguiteranno a causa mia...".

Tuttavia in ogni fase abbiamo incontrato un'insegnante, una persona, un dirigente scolastico che ha partecipato alla nostra situazione aiutando Alessandro nel modo  giusto. I compagni di classe della scuola media e delle superiori si facevano in quattro per lui. Ad aver paura erano gli adulti. Ho cominciato a studiare per diventare più pronta, per poter e saper chiedere i diritti per la sua tutela.

Mi sono sentita come Pietro quando il Signore gli disse: "quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi».

La diversità fa paura. Ma non possiamo dire che nel diverso vi sia assenza di logica quanto la presenza di una diversa logica. Di uguale al mondo non c'è nulla, mai una nuvola, una foglia, un tramonto è uguale ad un altro. Solo i virus sono identici. Per questo bisogna liberarsi del mito dell'uguaglianza.

La prima lezione appresa è stata quella di constatare che il mondo è fermo alle apparenze. Invece noi pensavamo e pensiamo che l'essenziale, come scrive Antoine de Sant Exupery in una pagina de "Il piccolo principe", è invisibile agli occhi.

Quindi "Non si è speciali lo si diventa.

Lo si diventa per qualcuno che riesce a vedere in noi

quel che il resto del mondo

non tenta neanche di scoprire".

Appartenevamo al mondo come tutti. Ma tra il mondo e Alessandro abbiamo scelto Alessandro. Tra la solitudine e il mondo abbiamo scelto la solitudine per stare vicini a lui. Abbiamo scelto la porta più stretta.

Siamo custodi di quest'anima che ci è stata affidata. Tutti i genitori lo sono.

Credo che davanti a questi ragazzi dovremmo accostarci con delicatezza in punta di piedi per cogliere il senso e il valore del loro stare accanto a noi, c'è un mistero da contemplare,

Ad un certo punto ci siamo accorti che dove lui passava succedeva qualcosa: rompeva il sistema, portava la crisi, scompiglio, interrogativi, discussioni.

È vero che alcune persone sono fuggite, altre si sono fatte delle domande, altre si sono lasciate investire dalla sua onda. Allora abbiamo capito che lui è venuto a portare il cambiamento.

E oggi possiamo dire che "la pietra scartata dai costruttori è diventata testata d'angolo".

E allora il nostro compito come genitori è quello di agevolare la sua missione, di custodire la sua anima che sta tra noi per cambiarci, per darci vita nuova.

Con il tempo, tanto tempo, ha imparato ad avere cura di sé, a leggere e a scrivere, a cantare, ad esprimere le sue emozioni, ad essere gentile.

Lentamente ci siamo arresi ai suoi riti ad esempio quello di mettere le ciabatte allineate in un certo posto o sistemare entrambi i cuscini del divano sullo stesso bracciolo. Poi viene la settimana in cui non vuole indossare le felpe di colore grigio o mangiare i cibi di colore verde o volere solo pasta bianca o indossare le scarpe arancioni. Fatto salvo di accettare tutto la settimana seguente compresa la carne, la pasta rossa e la frittata.

Memorizza una canzone appena ascoltata, ricorda esperienze e persone incontrate in tempi lontani. Predilige gli egiziani ed è diventato esperto, gli piace leggere libri sulle famiglie dei funghi o quelli di ricette oltre alle fiabe classiche. Sa essere ordinatissimo nella sua camera. In libreria rimette in ordine i libri o i flaconi di detersivo negli scaffali del supermercato. Ha una vista da falco e un udito acutissimo che attraversa le mura delle stanze, gli piace scattare fotografie.

Abbiamo giornate buone, altre meno, altre pesanti.

Dentro di noi abbiamo un'amarezza. Si tratta dell'epilessia di cui Alessandro soffre e che è resistente ai farmaci. Molte volte l'autismo è associato anche ad altre patologie e allora la gestione della situazione si fa più complessa. La parola epilessia significa "colto di sorpresa" infatti le crisi sono sempre improvvise. Questo ci costringe a stare sempre in uno stato di all'erta perché la crisi, che è una condizione critica durante e dopo l'evento, può avvenire in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo. Per noi è l'esperienza di convivere con l'imprevedibile.

Ci viene chiesto il coraggio di vivere nell'insicurezza, nell'amore, di rimanere saldi nella fiducia e nella speranza. Di stare sulla soglia del Mistero del nostro incontro. Ogni incontro ha le sue radici nel disegno che Dio ha pensato per noi.

Oggi Alessandro che ha da poco compiuto trent'anni, cammina fieramente e le sue paure si sono ridimensionate. Ci ripaga con infinita gratitudine e tanto amore. E questo è il centuplo che ci viene riconosciuto già ora.

A noi è stata consegnata la chiave per aprire la cassaforte che custodisce la sua grande ricchezza. L'apparenza mostrava solo il suo limite, solo ciò che funzionalmente non riusciva a fare. I genitori sono i principali terapisti. Sono il ponte. In presenza di una patologia così importante i genitori assumono un ruolo fondamentale: sono un ponte sopra il quale cammina il resto del mondo.

Sono qui a dire che è possibile essere felici con una persona autistica in casa purché si impari a godere dei suoi passi che solo in apparenza sono piccoli, in realtà avvengono delle grandi conquiste. Si può essere felici a patto che si impari a saper ricevere. Saper ricevere è un'arte tutta da imparare per poter far fiorire la gratitudine e godere tanti momenti di gioia.

Ho trascorso anni in cui il mio unico svago era quello di andare al supermercato a fare la spesa. Conciliare il lavoro con la famiglia è stata un'arrampicata e scovare un momento per me per una visita medica era e può essere ancora qualcosa da pianificare a tavolino con chi mi può sostituire.

La rinuncia ad una normale vita sociale vissuta  troppo a lungo nel tempo può far male alla donna e visto che è la donna il fulcro di ogni famiglia di riflesso la famiglia potrebbe soffrirne. E se soffrono le famiglie significa che l'intera umanità, senza saperlo, porta dentro i segni della pena.

La disabilità può essere dietro l'angolo per tutti.

Un figlio disabile non segue una strada comune ai suoi coetanei. Sappiamo che non ci darà la soddisfazione di un buon voto ad una tesi di laurea. Semplicemente perché non possono fare le stesse cose, non potranno da adulti mettere su famiglia o essere del tutto autonomi. Hanno e avranno sempre bisogno di qualcuno, di aiuto. E questo significa che attorno all'handicap possono scatenarsi gare di solidarietà. Mi pare di poter dire che è come se questi figli, questi concittadini, questi fratelli, abbiano la facoltà di tirar fuori la nostra parte migliore quella altruista, quella più buona.

L'autismo è venuto a dirmi che forse la persona chiusa sono io, perché ad un certo punto ho scoperto le mie intolleranze e grazie ad Alessandro è iniziato il mio lungo viaggio per essere più aperta, più comunicativa, più comprensiva, più empatica. Tutto questo è potuto accadere per amore, con amore e ricambiata da tanto immenso amore.